Stress lavorativo e malattie cardiovascolari nel personale delle forze di polizia

Le malattie cardiovascolari, ed in particolare l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica, sono tra le infermità per le quali più frequentemente gli operatori di polizia inoltrano la domanda per la dipendenza da causa di servizio.
Nella maggior parte dei casi (circa il 90%) non è facile stabilire con certezza le reali cause all’origine della patologia ipertensiva. Sono noti alcuni fattori predisponenti, che nel loro insieme, favoriscono la comparsa della malattia, di seguito riportati:
aumentato tono del sistema nervoso simpatico
diminuita capacità del rene ad eliminare sodio
fattori genetici
fattori alimentari
condizioni di stress sociale
sedentarietà
invecchiamento.
L’ipertensione secondaria, ovvero quella forma di ipertensione che insorge come conseguenza di altre malattie, ha invece delle cause di origine ben definite. Questa patologia che rappresenta soltanto il 5-10% di tutti i casi di ipertensione può essere causata da:
malattie del rene
malattie dei grandi vasi (coartazione aorta)
malattie endocrine
farmaci (cortisonici, amine simpaticomimetiche).
L’ereditarietà o familiarità della patologia influisce per circa il 30% sulla possibilità d’insorgenza dell’ipertensione. Per questo motivo un soggetto che ha dei familiari ipertesi, avrà un maggior rischio (ma non la certezza assoluta) di sviluppare la malattia.
Nella persona anziana l’ipertensione è legata soprattutto ad un aumento della pressione massima o sistolica, mentre nella fascia di età compresa tra i 20 ed i 50-55 anni si registra solitamente un aumento sia della massima che della minima.
L’uomo ha un rischio elevato di sviluppare la malattia intorno ai 30-40 anni. Nelle donne tale rischio, inferiore prima della menopausa, arriva dopo i 45-50 anni fino al 50% per poi aumentare ulteriormente dopo i 65 anni.
La dieta ideale rivolta alla prevenzione e/o alla cura dell’ipertensione ha come obiettivi principali il calo ponderale e la restrizione di sodio ed alcol. Nello stadio iniziale della malattia, denominato pre-ipertensione, molto spesso la semplice correzione delle abitudini dietetiche è sufficiente a diminuire i valori pressori.
La ridotta attività fisica costituisce un altro importante fattore di rischio.
Il fumo di sigaretta è un potente vasocostrittore, riduce l’ossigenazione dei tessuti e facilita la formazione di placche aterosclerotiche. L’alcol, a piccole dosi ha invece un effetto benefico grazie alle sue proprietà vasodilatatrici, effetto che si inverte quando assunto a grandi dosi.
In molti casi lo stress psichico influisce a tal punto sulla comparsa dell’ipertensione da essere considerato il principale fattore causale. Tra le condizioni più a rischio vi sono: collera trattenuta, ricorrenti arrabbiature, intense emozioni, gravose responsabilità lavorative o eccessivo impegno nel lavoro.
L’esposizione cronica al rumore potrebbe avere un ruolo nell’ipertensione arteriosa, attraverso un meccanismo d’azione stress-correlato. La fisiologica e transitoria risposta di stress al rumore indotta dal sistema nervoso simpatico e dal sistema neuroendocrino diverrebbe patologica quando attivata cronicamente e ripetutamente. Così il temporaneo incremento della pressione sanguigna, diventando permanente, genererebbe una condizione di ipertensione.
Il termine cardiopatia ischemica racchiude in sé uno spettro di condizioni patologiche in cui si verifica una discrepanza tra il consumo e l’apporto di ossigeno al miocardio.
All’origine della cardiopatia ischemica possono esserci numerose patologie, tutte accomunate dal diminuire l’apporto di sangue al cuore.
Tra queste le forme più comuni di manifestazione clinica sono:
Sindromi coronariche croniche:
angina cronica stabile o da sforzo
Sindromi coronariche acute:
angina instabile
infarto miocardico
insufficienza cardiaca
morte improvvisa
ischemia silente.
La causa principale della cardiopatia ischemica è la malattia aterosclerotica a carico delle arterie coronariche.
L’aterosclerosi è una malattia degenerativa che favorisce il deposito di aggregati di grassi ed altre sostanze nella parete interna delle arterie. Tali depositi diminuiscono il lume vasale e l’elasticità delle pareti. Costretto a passare in un vaso di calibro ristretto, il sangue subisce un aumento di pressione mettendo a rischio l’integrità stessa dell’arteria.
Il restringimento, quando diventa importante, altera la normale circolazione in quanto favorisce la formazione di trombi che si possono staccare dalla placca arterosclerotica ed andare ad ostruire vasi di calibro minore. Lo stesso trombo, oltre a restringere direttamente il vaso, agisce anche indirettamente favorendo la sintesi di trombossano, un potente vasocostrittore.
All’interno delle coronarie, quando l’ostruzione raggiunge il 50%, cominciano a presentarsi problemi piuttosto seri, dato che quel vaso non è più in grado di soddisfare completamente le richieste metaboliche delle cellule irrorate.
L’ischemia locale altera il comportamento elettrico dell’intero cuore generando aritmie che possono mettere in serio pericolo l’efficienza della pompa cardiaca. Contemporaneamente il ridotto afflusso di sangue ed ossigeno diminuisce per meccanismo riflesso la forza di contrazione cardiaca, aggravando ulteriormente la situazione.
La gravità e la durata dell’ischemia determina la reversibilità o meno del danno cardiaco. Se l’ischemia perdura nel tempo, la cellula cardiaca può sopportare per circa 20-360 minuti la carenza di ossigeno e nutrienti, dopodichè muore. La necrosi cellulare viene chiamata infarto e se coinvolge un numero importante di cellule può essere fatale per l’individuo.
Una volta morte, queste cellule non riacquistano più la loro funzionalità, ma vengono sostituite da tessuto cicatriziale fibroso elettricamente e meccanicamente inerte.
L’angina è invece un ischemia miocardica transitoria con carattere di reversibilità. Si definisce stabile se si associa a sforzo fisico costante e non subisce modificazioni significative nel tempo, instabile se è di recente insorgenza, ingravescente e compare anche a riposo.
I fattori di rischio della cardiopatia ischemica sono rappresentati da:
fumo
diabete mellito
dislipidemia
ipertensione
sedentarietà
obesità
iperomocisteinemia
condizioni di stress.
Sia l’ipertensione arteriosa che la cardiopatia ischemica rappresentano dunque malattie a genesi multifattoriale, in cui entrano in gioco fattori endogeno-costituzionali (come per esempio la familiarità), ed altri ambientali.
Tra questi ultimi, come detto, in ambedue i casi, vi è il ruolo svolto dallo stress psico-fisico, con meccanismi patogenetici noti e ben descritti in letteratura. Il ruolo dello stress è molto importante perché rappresenta il fattore di gran lunga più invocato a sostegno della dipendenza da causa di servizio delle infermità cardiovascolari da parte di molte categorie di lavoratori.
L’associazione tra stress e cardiopatie è infatti molto antica: Galeno, già nel 170 d.C., nel Microtechne, affermava che “le intense emozioni possono provocare disturbi del ritmo cardiaco”.
La letteratura ha messo più volte in evidenza come determinate modalità di lavoro siano associate con un rischio elevato di sviluppare ipertensione arteriosa, che è indipendente ed additivo rispetto al rischio conferito all’aumentare dell’età.
Di contro, è pure noto come modificazioni dello stile di vita, dei regimi e dei ritmi lavorativi possano comportare notevoli benefici nel controllo della ipertensione arteriosa. Uno dei motivi che facilitano il controllo dell’ipertensione arteriosa nei pazienti ospedalizzati è infatti, per quanto attuabile, lo stato di isolamento dagli stress emotivi e ambientali. In rari casi è addirittura necessario l’abbandono di determinate attività lavorative.
Dal punto di vista fisio-patologico lo stress lavorativo può costituire un fattore di rischio cardiovascolare con meccanismi sia diretti che indiretti. I primi si riferiscono all’attivazione neuro-ormonale e neurovegetativa, in relazione ai comportamenti attivi e passivi necessari per affrontare determinati compiti ed attività, con stimolazione del sistema nervoso autonomo e aumentata secrezione neurormonale, soprattutto di catecolamine e cortisolo. Gli effetti che ne conseguono agiscono sulla pressione arteriosa, sul ritmo e sulla frequenza cardiaca, sulla circolazione periferica, sui processi emo-coagulativi, sul metabolismo glucidico e lipidico. I meccanismi indiretti sono rappresentati da modificazioni degli stili di vita (alimentazione, scarsa attività fisica, abitudine al fumo ed al consumo di bevande alcoliche), nonché dalle interferenze sul piano psico-relazionale, sia in ambito familiare che sociale.
Particolare importanza nel condizionare gli effetti sulla salute hanno le modalità di risposta (coping) più o meno adeguate che il soggetto è in grado di mettere in atto; oltre che dalla intrinseca complessità del compito, esse dipendono dalle singole capacità dell’individuo, con interferenza di numerosi fattori quali: la regolazione del sistema nervoso autonomo (a partire dal ritmo sonno/veglia), le condizioni ambientali (ad es. rumore, illuminazione, ecc.), l’assunzione di farmaci o di alcol, la presenza di malattie concomitanti, la spinta motivazionale, lo stato emotivo, ecc.
Lo stress in gioco è di tipo sub-acuto o cronico, ossia riferibile a quelle condizioni lavorative in cui vi è una prolungata e persistente situazione di mancata o ridotta possibilità di “controllo” del lavoro, condizionato da carichi di lavoro eccessivamente elevati, scarsa prevedibilità, necessità di costante attenzione, persistente presenza di pericolo e di rischio.
In termini generali, dagli studi più autorevoli emerge una relazione abbastanza chiara tra cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa e alcune condizioni di lavoro, in particolare i lavori caratterizzati da scarsa attività fisica, i compiti ad alta richiesta psichica, ma con scarsa capacità di controllo, e il lavoro a turni (con rischio che aumenta in relazione all’anzianità di turno).
In un lavoro che ha criticamente preso il rapporto tra strain lavorativo e cardiopatia ischemica, effettuato in gruppi di lavoratori maschi di diversi settori lavorativi, tra il 1983 e il 1998, si è evidenziata una associazione significativa tra attività lavorative comportanti alte richieste psicologiche, sia con la morbilità per angina pectoris che con la mortalità per infarto del miocardio. Anche in relazione alla pressione arteriosa, vi sono molte evidenze per una relazione positiva tra stress lavorativo ed ipertensione arteriosa.
Murphy, in una ricerca avente per oggetto l’associazione tra 32 diverse caratteristiche del lavoro e le condizioni di disabilità dovute a malattie cardiovascolari, ha rilevato come le quattro condizioni maggiormente associate a tali patologie siano rappresentate da:
situazioni di pericolo;
attività che richiedono alti livelli di vigilanza e di responsabilità verso gli altri;
compiti con elevati livelli di scambio di informazioni;
controllo di apparecchiature complesse.
È dimostrato come tali condizioni, ben presenti nel lavoro di un operatore di polizia, siano correlate allo stress occupazionale e costituiscano un indubbio fattore di rischio per malattie cardiovascolari, con particolare riferimento alla cardiopatia ischemica ed all’ipertensione arteriosa. Importanti studi evidenziano poi fattori di rischio aggiuntivi per la cardiopatia ischemica nel personale di polizia penitenziaria, professione particolare, a ragione delle insidiose dinamiche psicopatologiche dei contenuti di questa attività lavorativa.
Nonostante questi dati, nella quasi totalità dei casi inerenti il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’ipertensione arteriosa, il Comitato di Verifica si esprime negativamente. L’ambito giuridico di riferimento, peraltro, consentirebbe, in teoria, anche il riconoscimento dell’aggravamento di patologie preesistenti al rapporto di impiego, comprese quelle di natura endogena o addirittura congenita, sempreché se ne dimostri un più rapido aggravamento (ai sensi dell’art. 2 comma 2 del DPR 461/01).
Seppure l’appartenenza a categorie lavorative a rischio (nel caso delle malattie cardiovascolari ampiamente comprovata dalla letteratura scientifica quella dell’operatore di polizia) non possa comunque comportare il pregiudiziale riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di patologie stress-correlate come l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica, è chiaro come l’analisi medico-legale, partendo dai contenuti ineliminabili della particolare prestazione lavorativa (costante stato di allarme, responsabilità verso terzi, pericolo per la propria incolumità, necessità di contrastare situazioni di urgenza, ecc.) debba accertare: 1) la qualità ed il quantum di questi fattori e 2) la presenza di ulteriori situazioni che possano giocare un ruolo nel determinismo della patologia (turnazioni, entità di lavoro straordinario effettuato, eventi critici di servizio, ecc.).
L’analisi della predisposizione endogeno-costituzionale, certamente importante, non deve quindi assumere il significato di elemento esclusivo per la formazione del giudizio medico-legale, soprattutto alla luce dell’ambito giuridico di riferimento, ma va confrontata con tutti gli altri fattori in gioco.

di Fabrizio Ciprani, Specialista in Medicina Legale e Medicina del Lavoro